Divieto di concorrenza e conflitto di interessi dell'amministratore

Qualora un soggetto rivesta la carica di amministratore di più società operanti nel medesimo settore di attività, si configura il rischio di conflitto di interessi.

Per prevenire tali ipotesi l’ordinamento contempla il divieto di concorrenza.

Vediamo nello specifico cosa sono il divieto di concorrenza e il conflitto di interessi.

Conflitto di interessi

Si ha conflitto di interessi quando l’interesse di un soggetto può confliggere con l’interesse primario dell’azienda (ossia il bene comune) nei confronti della quale il primo ha precisi doveri e responsabilità in relazione alla carica o al ruolo rivestito.

Il conflitto di interessi può essere reale, potenziale o apparente.

Divieto di concorrenza

Tra le specifiche norme previste dall’ordinamento giuridico italiano a tutela della concorrenza, nell’ambito della disciplina delle società di capitali l’art. 2390 c.c. vieta al socio e all’amministratore di esercitare, per conto proprio o di terzi, un’attività concorrente e di assumere la carica di amministratori o direttori generali, o ancora, la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea.

In caso di inosservanza di tale divieto l’amministratore può essere revocato dall’ufficio e chiamato a rispondere dei danni cagionati alla società.

In sostanza, il divieto posto dall’art. 2390 c.c. costituisce una vera e propria tutela avanzata della società, evitando il rischio che l’interesse sociale venga compromesso dagli interessi personali e confliggenti dei suoi amministratori.

I destinatari del divieto in questione sono gli amministratori della società per azioni, senza distinzione alcuna tra gli amministratori delegati, i membri del comitato direttivo/esecutivo o i semplici consiglieri. Il divieto si applica anche agli amministratori delle cooperative, delle società a responsabilità limitata, nonché a quelli delle società in accomandita per azioni.

Casi particolari – Amministratore di fatto e Direttore Generale

Vi sono situazioni in cui l’applicabilità dell’art. 2390 c.c. non è così scontata come possa sembrare. E’ il caso dell’Amministratore di fatto e del Direttore Generale.

Con l’espressione Amministratore di fatto ci si riferisce normalmente a due situazioni diverse.

Da un lato si ha un amministratore di fatto nel caso in cui taluno amministri una società, ossia eserciti i poteri che competono agli amministratori, in assenza di alcuna nomina.

In altro caso, invece, è considerato “Amministratore di fatto” il soggetto che sia stato nominato da una delibera irregolare, tacita o implicita, purché sussistano le seguenti condizioni:

  • la nomina non sia stata pubblicata a norma di legge;
  • la nomina costituisca un presupposto implicito di una delibera assembleare;
  • la norma sia desumibile da un contegno dei soci extra-assembleare, tale da poter far presumere che sia intervenuta anteriormente una delibera di nomina.

All’esito di un lungo confronto, giurisprudenza e dottrina riconoscono che quando un soggetto esercita di fatto l’attività di gestione dell’impresa, egli debba osservare obblighi e vincoli imposti dalla legge agli amministratori regolarmente nominati, in quanto si ritiene che la maggior parte degli obblighi previsti dalla legge per gli amministratori siano regole che disciplinano il corretto svolgimento dell’attività gestoria della società, indipendentemente dalla qualifica formale del soggetto che pone in essere tale attività.

L’art. 2396 c.c., infine, sancisce che le disposizioni sulla responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori nominati dall’assemblea o per disposizioni dell’atto costitutivo. Qualora la nomina del direttore generale sia irrituale o irregolare, si discute se possano comunque trovare applicazione le disposizioni sulla responsabilità dell’amministratore di fatto.