L’attività amministrativa dello Stato, volta alla cura degli interessi che gli sono assegnati in forza di leggi e regolamenti, trova organica regolamentazione nella legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale, al primo articolo, ne enuncia il principio informatore: cui “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.

Necessari corollari sono le previsioni per cui l’attività amministrativa deve essere esercitata entro un ragionevole termine fissato dalla Legge, onde evitare un indebito gravame sul cittadino (art. 21-nonies, comma 1, L. 241/1990); l’Ente pubblico deve dare conto all’interessato degli elementi istruttori raccolti nel corso del procedimento in ossequio al principio costituzionale di trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e deve altresì indicare le ragioni giuridiche in base alle quali emette l’eventuale provvedimento (art. 3 L n. 15/2005), che deve essere esaustivamente motivato a pena di nullità.

Il dovere di motivazione degli atti, in particolare, risponde a una funzione di controllo dell’operato della Pubblica Amministrazione, consentendo al cittadino la verifica della correttezza dei provvedimenti e, eventualmente, di contestarli in via amministrativa o giudiziale, senza possibilità per la P.A. di modificare successivamente i termini del rapporto giuridico descritto con la motivazione.

Lo Statuto del Contribuente

Qualsiasi attività amministrativa deve rispettare i principi sopra richiamati, i quali, in ambito tributario,  sono stati espressamente recepiti dalla Legge 27 luglio 2000, n. 212 concernente le “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del Contribuente” (c.d. Statuto del Contribuente) che regola i poteri dell’Amministrazione finanziaria, circoscrivendo l’area di discrezionalità dell’azione accertativa dell’Agenzia delle Entrate e riconoscendo al contribuente una posizione paritaria rispetto all’Amministrazione, superando la precedente impostazione di subalternanza.

Ribadita la necessità che gli organi preposti all’accertamento fiscale esercitino l’azione in un tempo contenuto coincidente con l’attività operativa dell’accertato, è previsto l’obbligo di redigere specifico processo verbale di constatazione giorno per giorno, con puntuale indicazione delle operazioni ispettive svolte e delle norme di legge che si ritengono essere state violate. Nel verbale devono essere inoltre recepite tutte le osservazioni e i rilievi che il contribuente, personalmente o tramite il professionista nominato, abbia mosso all’attività ispettiva.

Copia del p.v.c. deve essere notificato all’accertato, il quale, nel termine di sessanta giorni, ha il diritto di formulare all’Ufficio osservazioni e richieste, che l’Amministrazione deve motivatamente valutare, e che possono anche determinare l’emissione di un provvedimento di autotutela (cfr. artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. 600 del 1973).

L’ufficio non può emettere l’avviso di accertamento in pendenza del termine in favore del ricorrente per la formulazione di osservazioni e richieste, salvo il caso di “particolare e motivata urgenza”, da indicarsi nella motivazione dell’atto.

Gli strumenti deflattivi di natura amministrativa

Conclusasi la fase del contraddittorio endoprocedimentale con esito negativo per il contribuente, l’Ufficio procede all’emissione dell’avviso di accertamento, notificandolo all’interessato, il quale, se lo ritiene, nel termine ordinario d’impugnazione giudiziale del provvedimento (art. 21 D.lgs. 546/92), può attivare gli strumenti deflattivi amministrativi previsti dall’ordinamento:

  1. accertamento con adesione;
  2. definizione agevolate;
  3. autotutela;
  4. conciliazione.

1. Accertamento con adesione

L’art. 1 D.Lgs. n. 218/97 prevede che l’accertamento delle imposte sui redditi, sul valore aggiunto, sulle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull’incremento del valore degli immobili (compresa la decennale) possa essere definito con c.d. adesione del contribuente.

Tale modalità di definizione dell’accertamento tributario, che può riguardare tutte le tipologie di reddito e le fattispecie accertative (accertamenti analitici, antielusivi, sintetici, presuntivi, induttivi e di valore), consiste in un accordo con il quale il Fisco e il contribuente negoziano la pretesa fiscale contenuta nel p.v.c. notificato, a fronte del beneficio di una riduzione delle sanzioni in misura di un terzo del minimo edittale.

Il contribuente accede alla procedura mediante apposita istanza all’Ufficio impositore. In caso di notifica di avviso di accertamento o di rettifica, l’istanza può essere presentata solo se l’avviso non sia stato preceduto dall’invito a comparire ex art. 5 del D.Lgs. n 218/97.

Nell’istanza il contribuente formula una proposta di definizione della pretesa, con conseguente sospensione di novanta giorni dei termini per proporre il ricorso giudiziale e di riscossione delle somme.

Inoltre, dalla presentazione dell’istanza decorre il termine di 15 giorni entro il quale l’ufficio “anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l’invito a comparire” (art. 6 co. 4 del D.Lgs. 218/97).

All’esito del contraddittorio, nell’ambito del quale il contribuente può farsi assistere da un procuratore (art. 63 DPR n 600/73, art. 7, co. 1-bis, D.Lgs. n 218/97), viene redatto un verbale che dà conto dello svolgimento e delle risultanze dell’incontro.

Se la procedura ha esito positivo, viene redatto un atto di adesione sottoscritto da entrambe le parti e il relativo iter si perfeziona con il versamento, entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’atto di adesione, delle somme pattuite, o della prima rata se il contribuente è stato ammesso al pagamento dilazionato in massimo otto rate, elevate a sedici rate in caso di importi maggiori di cinquantamila euro (art. 9 D.lgs. 218/97), con l’obbligo del contribuente di trasmettere all’Ufficio entro dieci giorni l’attestazione di pagamento.

L’omesso versamento delle somme concordate legittima l’Ufficio alla notifica dell’avviso di accertamento o al recupero degli importi portati dall’atto notificato per il quale il contribuente ha presentato istanza di accertamento con adesione.

2. Definizione agevolata

La definizione agevolata è una procedura che consente al contribuente di accedere, oltre alla rateizzazione dell’imposta dovuta, a particolari sconti sulle sanzioni irrogate e sugli interessi maturati.

L’art. 16, comma 3 e l’art. 17, comma 2 D.Lgs. 472/97  attribuiscono al contribuente, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento, la facoltà di definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e, comunque, non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi.

La procedura si perfeziona con il versamento degli importi dovuti.

Nel caso di contestazione di sole sanzioni, la definizione agevolata attraverso il pagamento del terzo delle sanzioni comporta la rinuncia al ricorso.

Diversamente, se la procedura viene attivata a seguito di un atto di accertamento d’imposta, il versamento del terzo non impedisce al contribuente di presentare riscorso contro la pretesa tributaria fatta valere con l’atto notificato.

Gli importi versati, tuttavia, non sono ripetibili, neppure in caso di accoglimento del ricorso .

Da ultimo, la Legge di Bilancio 2023 ha introdotto diversi strumenti di pace fiscale in favore dei contribuenti, i quali possono saldare i debiti con il Fisco, o con le Amministrazioni locali, mediante lo stralcio delle cartelle fino a mille euro e la nuova “rottamazione” delle cartelle.

Sono escluse da questi strumenti le violazioni sui ritardati versamenti di tributi (art. 17, comma 3, D.Lgs. 472/97) e sulla compensazione di crediti inesistenti (art. 13, comma 5, D.Lgs. 471/97).

3. Autotutela

L’autotutela è il potere della Pubblica Amministrazione di annullare o modificare d’ufficio un proprio atto, successivamente ritenuto illegittimo o infondato.

L’esercizio dell’autotutela può essere sollecitato dal contribuente con apposita istanza, attraverso la quale si chiede una modifica e/o una revoca del provvedimento ritenuto illegittimo.

L’istanza in autotutela, tuttavia, è esclusivamente tesa a ottenere un riesame del provvedimento da parte dell’Ufficio che lo ha adottato, ma non determina la sospensione dei termini per la presentazione del ricorso giudiziale che, nel caso in cui l’Ufficio non accolga l’istanza in autotutela, dovrà essere presentato nei termini ordinari.

In caso di accoglimento dell’istanza, l’Ufficio emette un provvedimento di sgravio della pretesa originaria e/o un provvedimento modificativo del precedente.

4. Conciliazione

La conciliazione, regolata dagli artt. 48 e 48-bis D.Lgs. 546/92, non può considerarsi una vera e propria procedura deflattiva, in quanto interviene in pendenza di una lite, benchè abbia come effetto quello di determinare una sollecita definizione del procedimento.

Per mezzo della conciliazione le parti, per motu proprio o su sollecitazione del giudice, pongono fine al contenzioso pendente in primo o secondo grado.

Sostanziandosi in un libero accordo tra le parti, la conciliazione può avere a oggetto qualunque atto ed imposta e determina la riduzione delle sanzioni che può essere al 40% del minimo (in primo grado) o al 50% (in secondo grado).

È possibile anche una conciliazione parziale, ovverosia, limitata a una parte del contenzioso, nel qual caso giudizio prosegue per la parte esclusa dalla conciliazione.

Qualora invece l’accordo interessi l’intera pretesa tributaria, il giudizio si estingue per cessata materia del contendere, dichiarata con decreto presidenziale ovvero con sentenza.

La procedura si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo, se interviene fuori udienza, o del relativo processo verbale e non risente dell’eventuale mancato pagamento degli importi convenuti, da effettuarsi entro venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o formazione del verbale.

È ammesso il pagamento rateale in un numero di rate trimestrali non superiore ad otto, ovvero sedici se gli importi superano i cinquantamila euro.

Le spese di lite si intendono compensate tra le parti, salvo diversa pattuizione.

Il processo tributario e la sua riforma

Il contribuente può impugnare avanti all’Autorità giudiziaria tributaria l’atto accertativo o sanzionatorio, emesso da un Ente impositore, ritenuto illegittimo, purché non acceda ad una procedura deflattiva o di conciliazione, ovvero laddove non ne ottenga l’annullamento in autotutela.

La giurisdizione tributaria è esercitata dalle Corti di Giustizia Tributarie di primo e secondo grado (già Commissioni Tributarie Provinciali e Commissioni Tributarie Regionali) di cui all’art. 1 del D.P.R. 545/92, in composizione collegiale.

Il terzo grado di giudizio, di legittimità, è demandato alla Corte di Cassazione, V Sezione Civile Tributaria.

Il processo tributario è regolato dalle norme previste dal D.Lgs. 546/92 e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, dalle norme del codice di procedura civile (articolo 1).

La Legge n. 130 del 31 agosto 2022 ha introdotto significative modifiche alle disposizioni sul processo tributario (D.Lgs. 546/92) e all’ordinamento degli organi della giurisdizione tributaria (D.Lgs. 545/1992) al fine di incrementare il livello di efficienza degli uffici e delle strutture centrali e territoriali della giustizia tributaria e di dare attuazione alle disposizioni previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienzaPNRR.

In particolare, la Legge 130/2022 ha introdotto dopo l’art. 1 del D.Lgs. 545/92, l’art. 1-bis secondo il quale la giurisdizione tributaria è esercitata dai magistrati tributari, reclutabili con procedure concorsuali nella misura di 448 unità presso le Corti di giustizia tributaria di primo grado e 128 unità presso le Corti di giustizia tributaria di secondo grado, e dai giudici tributari nominati presenti nel ruolo unico nazionale alla data del 1° gennaio 2022, per i quali è prevista una formazione continua ed un aggiornamento professionale regolati dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria.

È stata, quindi, valorizzata la figura del giudice monocratico, la cui competenza era inizialmente limitata ai procedimenti per il pagamento delle spese di giudizio e per il giudizio di ottemperanza di valore fino a ventimila euro (art. 70, comma 10-bis, D.Lgs. 546/92), attribuendogli anche le cause introdotte dai ricorsi notificati dal 1° gennaio 2023 di valore fino a tremila euro riferito al solo tributo (con esclusione quindi delle sanzioni e degli interessi) e con esclusione delle cause di valore indeterminabile.

Rimane invariata la disciplina delle modalità di proposizione del ricorso (art. 20 D.Lgs. 546/92), dell’individuazione degli atti impugnabili e dell’oggetto del ricorso (art. 19), dei termini di proposizione della domanda (art. 21), della costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente (artt. 22 e 23), della produzione di documenti e motivi aggiunti (art. 24), della difesa tecnica (fermo restando la possibilità per il contribuente di stare in giudizio personalmente per le cause di valore fino a tremila euro).

Per effetto dell’aggiunta all’art. 7 del D.Lgs. 546/92 del comma 5-bis, è ora espressamente previsto che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

A seguito della novella del 2022, pertanto,  l’Amministrazione finanziaria ha ora l’onere di provare in giudizio la fondatezza della sua pretesa tributaria, così perdendo la  posizione di privilegio fin ora goduta in qualità di soggetto titolare di poteri amministrativi e divenendo parte processuale effettivamente paritaria rispetto al ricorrente, di modo che, in difetto di prova piena della fondatezza della pretesa impositiva, l’Ufficio rimarrà soccombente, in quanto il giudice dovrà fondare la sua decisione “sugli elementi di prova che emergono nel giudizio” (art. 7, comma 5-bis cit.).

Esclusa la prestazione della garanzia per i ricorrenti con “bollino di affidabilità fiscale” (art. 47, comma 5, D.Lgs. 546/92) e ribadita la non ammissibilità del giuramento, il legislatore ha introdotto la prova testimoniale nel processo tributario, prevedendo (art. 7, comma 4 D. lgs. 546/92) che “La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257 bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.

Viene, pertanto, introdotta nel processo tributario la prova testimoniale scritta, che, tuttavia, appare foriera di difficoltà applicative, ove si consideri che la norma autorizza il giudice a disporla anche d’ufficio, mentre l’art. 257-bis c.p.c., pure richiamato dalla novella, prevede che la prova testimoniale scritta sia richiesta dalla parte processuale con il consenso della controparte.

Altra novità è rappresentata dalla nuova conciliazione, disciplinata  dall’art. 48-bis.1 al D.Lgs. 546/92, che si aggiunge alle due forme già previste dall’ordinamento.

Invero, l’introduzione dell’art. 48-bis.1 dopo gli artt. 48 e 48-bis del D.lgs. 546/92, che disciplinano la conciliazione fuori udienza e la conciliazione in udienza, consente alla Corte di giustizia tributaria di formulare alle parti, ove possibile, in udienza o fuori udienza, per le controversie soggette a reclamo ex art- 17-bis citato decreto legislativo, “una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”.

Anche in tali casi la conciliazione si perfeziona con la redazione di apposito verbale che indica le somme dovute e costituisce titolo esecutivo, determinando l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a spese compensate, salvo diverso accordo delle parti.

Nell’intento di responsabilizzare le parti ad una attenta valutazione della eventuale proposta conciliativa proveniente dalla parte o dal giudice, si è, peraltro, disposto che il mancato accoglimento della proposta senza giustificato motivo determina il pagamento delle spese di lite maggiorate del 50% qualora le pretese fatte valere non vengano riconosciute in sentenza ovvero vengano riconosciute in misura inferiore alla proposta rifiutata (art. 15, comma 2-octies D.Lgs. 546/92).

Analogamente, in tema di reclamo e mediazione ex art. 17-bis D.Lgs. 546/92, con l’inserimento del comma 9-bis si è previsto che “In caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione formulata ai sensi del comma 5, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio. Tale condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione”.

La Legge 130/2022 ha, inoltre, regolato la partecipazione alle udienze di tutti i soggetti del processo tributario (giudici, ricorrente, parte resistente) mediante collegamento audiovisivo, equiparando il luogo del collegamento ad aula di udienza (art. 4, comma 4, L. 130/2022),

Nonostante le innovazioni introdotte, la riforma del quadro giuridico, prospettata dalla Legge 130/2022 per rendere più efficace la legislazione tributaria e ridurre il contenzioso, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha mancato l’obiettivo di sancire una sostanziale indipendenza della magistratura tributaria, avendo, invece, rafforzato il legame tra magistratura tributaria e Ministero dell’Economia e Finanza (MEF), come efficacemente rilevato dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia che con l’ordinanza n. 408/1/2022 ha sollevato numerose questioni di legittimità costituzionale dell’assetto organizzativo dell’ordinamento giudiziario tributario come delineato dalla riforma, la cui spinta propulsiva verso l’indipendenza di questa quinta magistratura italiana appare decisamente smorzata.