locazione commerciale

L’epidemia da COVID-19 rappresenta un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.

Considerato l’evolversi della situazione epidemiologica in Italia, con DPCM 11 marzo 2020 è stata disposta la sospensione di numerose attività commerciali e inerenti i servizi alla persona su tutto il territorio Nazionale. Sono state fatte salve le misure previste dal DPCM 8 marzo 2020 e dal DPCM 9 marzo 2020 non incompatibili con le nuove disposizioni (quali, ad esempio, quelle che limitano la circolazione delle persone).

Tali drastiche misure, senz’altro necessarie, hanno avuto un forte impatto non solo sulla vita privata delle persone, ma anche sulle imprese e il mercato, focalizzando l’attenzione di cui si occupa di contrattualistica e contenzioso civile su alcuni temi non sempre considerati per la loro effettiva importanza.

Vediamo meglio.

Contratti commerciali

Alla luce delle stringenti limitazioni apportate dai richiamati decreti, è emersa la necessità di valutare se tali provvedimenti – necessari per il contrastare la pandemia del nuovo coronavirus COVID 19 – configurino una causa di forza maggiore giuridicamente rilevante.

Invero, i provvedimenti governativi emergenziali impediscono a una delle parti di un contratto commerciale di adempiere alle proprie obbligazioni.

Si tratta di una causa di forza maggiore?

Tale istituto non è espressamente disciplinato dal nostro ordinamento, ma si è via via affermato in giurisprudenza e, dunque, nella prassi commerciale e contrattuale.

Perché si parli di forza maggiore i provvedimenti delle Autorità (causa dell’impedimento contrattuale) devono essere imprevedibili, inevitabili e non imputabili ad alcuna delle parti del contratto:

  • Imprevedibilità: al momento della conclusione del contratto le parti non potevano prevedere il verificarsi dell’evento, né la conseguente emanazione di provvedimenti autoritativi;
  • Inevitabilità: l’impossibilità determinata dal provvedimento non può essere superata tenendo un comportamento che rispetti la normale diligenza;
  • Non imputabilità: il provvedimento dell’autorità non deriva da un comportamento di una parte contrattuale e, in particolare, della parte impossibilitata ad adempiere alle proprie prestazioni.

I provvedimenti di emergenza emanati per contrastare il COVID 19 soddisfano tutti e tre i requisiti e possono quindi essere considerati causa di forza maggiore, invocabili nel caso in cui una delle parti non fosse in grado di adempiere alla propria prestazione.

Non si può prescindere, in ogni caso, da una valutazione in concreto della fattispecie per verificare se sia effettivamente possibile invocare la forza maggiore.

Conseguenze sui contratti colpiti dai provvedimenti di emergenza

I provvedimenti di emergenza emanati in relazione alla attuale situazione di emergenza integrano, come visto, gli estremi della forza maggiore (c.d. factum principis).

In particolare, nei casi disciplinati dagli stessi, i provvedimenti impediscono il corretto svolgimento dei rapporti contrattuali e, in particolare, rendono di fatto impossibile a una delle parti l’esecuzione della sua prestazione.

In tali casi, le conseguenze in ordine alla permanenza del vincolo contrattuale dipendono anche dalle previsioni contrattuali stesse.

Nel caso in cui il contratto preveda una specifica disciplina dei casi di forza maggiore, si seguiranno le relative disposizioni (dalla sospensione o riduzione dei pagamenti, sino alla risoluzione del contratto).

In difetto di puntuali previsioni contrattuali, invece, dovranno essere applicati i principi generali dettati dal codice civile in ordine alla impossibilità sopravvenuta o all’eccessiva onerosità sopravvenuta.

Impossibilità sopravvenuta

Si ha impossibilità sopravvenuta nel caso in cui, dopo la conclusione di un contratto, l’esecuzione di una prestazione diventi impossibile per una causa non imputabile al debitore.

Nel caso in cui l’impossibilità sia definitiva, ovverosia non vi siano possibilità di eseguire la prestazione, la conseguenza del suo verificarsi sarà l’estinzione automatica dell’obbligazione e la conseguente risoluzione ex lege del contratto.

Qualora, invece, l’impossibilità fosse meramente temporanea, ne conseguirà l’estinzione di diritto del contratto nel solo caso in cui la parte adempiente non abbia più interesse a conseguire la controprestazione, oppure la parte inadempiente non possa più essere ritenuta obbligata a realizzare la propria prestazione.

Diversamente, il contratto rimarrebbe in essere e, in considerazione del verificarsi della causa di impossibilità, la parte tenuta alla relativa prestazione non sarà ritenuta responsabile per il ritardo nell’adempimento.

Eccessiva onerosità sopravvenuta

Tale ipotesi può ricorrere in relazione a contratti nei quali intercorra un certo lasso di tempo tra la sottoscrizione e l’esecuzione del contratto medesimo, come, ad esempio, nei contratti di durata e ad esecuzione continuata o periodica.

In tali ipotesi, se il provvedimento governativo di emergenza determina un sacrificio sproporzionato per una sola delle parti e a vantaggio dell’altra (rendendo, in altre parole, eccessivamente onerosa una delle due prestazioni), l’ordinamento prevede un duplice rimedio: la modifica delle condizioni contrattuali in modo da ristabilire l’equilibrio tra le prestazioni oppure la risoluzione del contratto.

In applicazione del principio di buona fede che deve disciplinare anche l’esecuzione del contratto, si ritiene generalmente configurabile nel nostro ordinamento, e quindi indipendentemente dalle previsioni contrattuali, un obbligo di rinegoziare le clausole divenute inique a seguito di eventi straordinari ed imprevedibili. L’applicabilità di tale orientamento, tuttavia, deve essere valutata caso per caso in relazione alle specifiche clausole contrattuali.

Locazioni commerciali e affitti

Si potrà sospendere il pagamento del canone solo se tale facoltà sia prevista dal contratto di locazione uso commerciale o di affitto in relazione a cause di forza maggiore.

Tuttavia, pur in presenza di una previsione contrattuale, si potrebbe richiedere la sospensione del pagamento dei canoni di locazione commerciale solo in relazione a immobili adibiti ad attività colpita specificamente da provvedimenti governativi che ne hanno disposto la chiusura totale (es. biblioteche, istituti scolastici e di formazione, sale giochi e sale scommesse, discoteche, palestre, ecc.).

Per le attività che non sono state inibite dai provvedimenti di emergenza, non pare invece possibile sospendere o ridurre i canoni di locazione o di affitto, anche nel caso in cui il contratto contenga una specifica previsione in tale senso per le ipotesi di forza maggiore.

Pur in difetto di previsioni contrattuali, qualora la situazione di emergenza si protraesse per un periodo di tempo eccessivamente lungo, tale da determinare la chiusura dei locali e delle attività, si potrebbe recedere dal contratto per gravi motivi.

In caso di chiusura parziale si potrebbe valutare l’applicabilità del rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta per crisi economica, con conseguente rinegoziazione delle condizioni contrattuali in modo da riportare ad equilibrio le prestazioni delle parti.

Per le attività per le quali sia stata disposta dall’autorità la chiusura temporanea in relazione allo stato di emergenza, infatti, il mancato utilizzo degli immobili locati di cui si dovesse continuare a pagare il canone potrebbe determinare uno squilibrio del sinallagma contrattuale tale da richiedere un intervento per ristabilire la corrispondenza tra le prestazioni. Anche in considerazione del generale principio di buona fede, si potrebbe, pertanto, chiedere una sospensione dei pagamenti e/o una temporanea riduzione dei canoni di locazione per il periodo di tempo interessato dalla chiusura.