marchio forte marchio debole

La distinzione tra marchio debole e marchio forte non riflette la percezione che il consumatore ha del marchio (anche se indirettamente può esserci un legame), ma riguarda le caratteristiche identificative di un marchio da un punto di vista strettamente giuridico, in particolare in relazione alla tutela della proprietà intellettuale.

Marchio debole

Per marchio debole si intende un marchio che, pur non identificandosi con la denominazione generica, lascia agevolmente trasparire a quale prodotto (o servizio) si riferisca. È pertanto definito “debole” in quanto solo la parte che si differenzia dalla denominazione generica del prodotto è realmente oggetto di protezione in caso di contraffazione del marchio, mentre la parte non distintiva potrà essere utilizzata anche da altri soggetti senza di per sé configurare un illecito. Esempi di marchi deboli sono Divani&Divani e Radio105, poiché in entrambi i casi il nome del marchio contiene anche il nome stesso del prodotto (o servizio) a cui si riferiscono. Non potrà dunque essere di per sé vietato l’utilizzo da parte di terzi delle parole “divani” o “radio” per contraddistinguere prodotti/servizi identici o simili.

Marchio forte

La definizione di marchio forte invece è speculare, e riguarda marchi che, non coincidendo con la denominazione generica di un prodotto/servizio e non consistendo in indicazioni descrittive dello stesso, sono dotati di maggior capacità distintiva. Una caratteristica dei marchi forti è la componente di fantasia (o creatività) evidenziata dall’utilizzo di nomi o parole (anche di uso comune) che non hanno, concettualmente, attinenza con il prodotto o il servizio interessato.

Uno degli esempi più calzanti di marchio forte è APPLE: il nome di un frutto (la mela) è utilizzato per individuare un mercato diametralmente opposto, quello dell’elettronica; si rende pertanto  immediatamente identificabile nel settore di riferimento, al contrario di quanto avverrebbe se fosse, invece, utilizzato per rappresentare un’azienda ortofrutticola. Anche brand come SONY, LOTUS o DAMIANI possono essere considerati marchi forti, poiché nessuno di essi rappresenta nel nome il prodotto che vuole contraddistinguere.

Marchio descrittivo

La distinzione tra marchi deboli e marchi forti ha la sua genesi nella preoccupazione del Legislatore di evitare che si crei una sorta di diritto di esclusiva su parole e segni comunemente utilizzati nel linguaggio corrente in quel settore merceologico e che, in quanto tali, devono rimanere patrimonio comune, onde evitare che l’esclusiva sul segno si trasformi in un monopolio.

L’art. 13 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), infatti, stabilisce che non possano costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni “divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio” e quelli “costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono”, ovvero i marchi indicativi del nome comune di un prodotto o di una categoria merceologica e quelli meramente descrittivi delle caratteristiche o delle funzioni essenziali del prodotto contraddistinto.

Quest’ultimo è in particolare il caso dei marchi “descrittivi” che, non solo dal punto di vista semantico o grafico, ma anche da quello concettuale, riescono a indirizzare la percezione del consumatore direttamente e intrinsecamente alla natura dei prodotti o dei servizi che rappresentano. Un celebre esempio è quello del marchio (poi annullato) AMARO 33, con il quale si sarebbe voluto distinguere una bevanda alcolica (amaro) con un determinata gradazione (33%).

Secondary meaning

È necessario, tuttavia, evidenziare come un marchio inizialmente privo di carattere distintivo possa comunque, attraverso la progressiva notorietà ottenuta nel tempo presso il pubblico di riferimento, godere di un effetto riabilitativo e trasformarsi in un segno distintivo o addirittura forte.

Questo fenomeno è il c.d. “secondary meaning” ed è disciplinato nell’ordinamento italiano dall’art. 13, comma 2 e 3 CPI e si verifica in particolare quando un marchio, grazie all’uso che ne viene fatto, acquisisce un significato ulteriore rispetto a quello originario, che ne determina la distintività e ne garantisce così la tutela.

Particolarmente esemplificativo in tal senso è il marchio “Il Giornale”, che – pur avendo un significato originariamente generico, descrittivo e d’uso comune – ha sviluppato un’intrinseca fama che ne permette l’individuazione e la distinzione da parte del pubblico, all’interno della categoria di riferimento.

La tutela del marchio

La distinzione tra marchio debole e marchio forte attiene alla diversa tutela di cui gode il marchio stesso in casi di atti di concorrenza sleale o contraffazione.

Quanto più il marchio è forte, tanto più sarà tutelato dalla legge, poiché la giurisprudenza, in particolare quella di legittimità, ha progressivamente rilevato come la distinzione tra i c.d. segni forti e quelli deboli, pur non essendo espressamente prevista a livello normativo, incida sul grado di tutela accordato ai diversi marchi.

La debolezza di un marchio importa, infatti, che il titolare non possa opporsi a un concorrente che utilizzi a sua volta un marchio poco distintivo rispetto alla denominazione generica del prodotto, ma che si differenzi in minima parte.

La tutela dei marchi forti è caratterizzata, invece, da maggior incisività, in quanto qualsiasi tipo di variazione – anche “originale”, che lasci comunque intatto il cuore del marchio (ovvero, il nucleo ideologico riassuntivo dell’“attitudine individualizzante” del segno) – sarebbe ritenuta illegittima.